“Fiorucci rappresentava la vampata della giovinezza senza la politica, dell’anticonformismo senza lo spinello, della lotta al sistema senza lo scontro. Un cuneo di gaiezza, una sosta che consentiva finalmente superficialità e frivolezza”. Così Natalia Aspesi, storica giornalista de La Repubblica, descrive Elio Fiorucci, il designer che ha segnato la moda giovane degli anni ’60 e ’70.
Figlio di un pantofolaio, Fiorucci raggiunge la notorietà nel 1962 grazie alla vendita di colorate galosce in plastica. È però nel 1967 che apre un negozio a suo nome in Galleria Passerella, a Milano, in cui vendeva oggetti importati da tutto il mondo ma anche abiti di sua produzione. Proprio grazie a questi ultimi diventa famoso in tutto il mondo: t-shirt con gli angioletti vittoriani e le pin-up, minigonne di tulle, accessori in plexiglass glitter, i primi jeans firmati, chiamati Buffalo ’70, attillatissimi. Fiorucci aveva il dono di rendere la moda divertente tramite il mix degli stili, ma leggermente erotica allo stesso tempo.
I suoi negozi erano i primi esempi di concept store: un luogo dove trovare non solo abbigliamento ma anche dischi, libri, profumi, vetrine scenografiche e performance di ballerini e artisti come Keith Haring. La sua attenzione al lato della distribuzione si traduceva nella collaborazione con i migliori architetti del mondo per le sue filiali in America e in Italia, da Amalia del Ponte a Ettore Sottsass. Questi locali dovevano contribuire a formare una precisa immagine del marchio nel pubblico.
Erano gli anni del Sessantotto e della Swinging London. Fiorucci, che aveva visitato la capitale inglese prima di aprire il suo negozio, era rimasto folgorato dalle numerose boutique giovani di Carnaby’s Street, Chelsea e King’s Road. Lì Mary Quant aveva messo in commercio le prime minigonne, e lì i ragazzi portavano oggetti di plastica o in maglia dai colori sgargianti, lontani dal classico e tradizionale completo giacca-pantalone. In Italia, oggetti simili erano venduti nelle boutique “Cose” e “Gulp”. Negli anni della rivoluzione, i giovani chiedevano un cambiamento nei modi di vivere e di relazionarsi con la società, all’insegna della libertà, della rottura dei canoni degli adulti e della ritrovata padronanza del proprio destino. Fiorucci ha vestito questa schiera di ragazzi, coniugando lo stile e la rivoluzione, sempre con un occhio al “marketing”.
Elio è morto nel 2015. La sua storia è raccontata nel libro Caro Elio. Un viaggio fantastico nel mondo di Fiorucci*, ad opera di Francesco Marabelli e acquistabile su Amazon. La sua maison è stata acquistata nel 2011 da una multinazionale giapponese, ed il ready-to-wear femminile è prodotto dalla italiana Ittierre.
Ottimo, articolo molto interessante