La moda è morta?

E’ uscito nel 2015 “Le forme della moda”, di Maria Luisa Frisa, pubblicato dalla casa editrice “Il Mulino”. L’autrice è un critico, curatrice di mostre e docente all’Università IUAV di Venezia, e ha già pubblicato altri libri in passato.

Copertina del libro Frisa
Copertina del libro

“Le forme della moda” offre una panoramica sul sistema della moda odierna e sui suoi meccanismi, senza trascurare questioni attuali come il vestiario unisex e gender-fluid, trattati nell’ultimo capitolo. La lettura è di facile comprensione grazie al modo di scrivere, semplice ma d’effetto e coinvolgente, dell’autrice. Nulla è lasciato al caso, ogni discorso è compiuto in se stesso e si collega a tutti gli altri affrontati nel libro. Non può (e non vuole) aspirare ad essere una enciclopedia totale, ma solo una infarinatura generale per chi è agli inizi o una interessante integrazione per chi è già esperto. I fatti sono presentati in modo oggettivo, e nonostante traspaiano le opinioni dell’autrice, ogni lettore ha gli strumenti e i dati per sviluppare un proprio punto di vista personale. Potrebbe essere letto anche dai più scettici verso la moda, coloro i quali la ritengono superficiale, solo per rendersi conto che le sfilate, i look e le riviste sono solo la punta dell’iceberg.

Dopo alcuni accenni storici su Worth e Poiret, la Frisa si sofferma su uno dei nodi principali che riguardano oggigiorno la moda. E lo fa citando un manifesto di Li Edelkoort: la moda è morta? La tesi presentata nel testo è che la moda stia diventando un fenomeno sempre più relegato ai margini della società e sempre più materialistico. Concentrato com’è sulla produzione continua e affannosa di tendenze e abiti, le idee vengono riproposte in circolo continuamente, senza spazio per la creazione di nuove e innovative silhouette. Ad aggravare questo problema contribuiscono le scuole di formazione, che non riescono a fornire la capacità di comprendere correttamente la moda, ma creano solo stilisti che aspirano a diventare stelle solitarie nel firmamento della moda, negligenti di valori come il team working. La mancanza di idee e il loro scadimento si può notare anche nella scrittura di giornalisti e blogger, troppo tesa alla semplificazione. Per questo motivo, solo il menswear e la couture, due settori ancora da esplorare, hanno una effettiva capacità di innovazione.

Maria Luisa Frisa
Maria Luisa Frisa

Pur condividendo questa tesi, la Frisa, che analizza questioni come l’uso del passato e degli archivi da parte degli stilisti, le capitali geografiche della moda, le mostre e la fotografia, o la questione dello stile personale, vuole far capire al lettore che «la moda è diventata troppo grande e troppo influente per poter essere considerata fenomeno minore o frivolo. […] Il fashion infatti, può affrontare problemi fondamentali e serissimi, pur giocando sul tavolo della cultura di massa dove ha più possibilità di vincere».

Importante è la riflessione sulla mancanza in Italia di una corretta formazione nel settore moda. Nonostante nelle università siano stati elaborati programmi incentrati su tale disciplina, essa non ha un riconoscimento pari agli altri corsi di laurea. Questo per via di un ritardo nella creazione di adeguati spazi di formazione e per la mancanza di «una tradizione che tiene insieme arti decorative e riflessione sul progetto vestimentario». D’altronde nel nostro Paese la moda è entrata tardi anche nei musei, proprio perché considerata superficiale.

Una delle mostre orgaizzate dalla Frisa, "Diana Vreeland after Diana Vreeland"
Una delle mostre orgaizzate dalla Frisa, “Diana Vreeland after Diana Vreeland”

Interessante anche il capitolo intitolato “Lusso, moda democratica e sostenibilità”, che illustra come solo di recente la moda sostenibile ha avuto i suoi frutti, finalmente scollegata dall’idea di essere per forza «punitiva, brutta e assolutamente non glamour». Inoltre molti marchi, sia di alta moda che di fast fashion si sono impegnati in direzione di una produzione rispettosa dell’ambiente e delle condizioni di lavoro in cui vengono prodotti i capi (vengono citati Stella McCartney o la linea Conscious di H&M). Degna di nota anche l’analisi del concetto di lusso, ormai appannaggio di una élite anche a causa dei prezzi, e la questione dei must-have, che tutti cercano di avere –veri o falsi che siano.

Photo credit: Feltrinelli; Google.it; 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.